Il tavolo di Alfonso non era previsto e vi mancava la fiamma a gas.
Miceni gli spiegò quale sarebbe stato il suo lavoro, rapidamente, in poche parole, così che Alfonso poco o nulla ne comprese. Alfonso non aveva che da tenere il maestro centrale, lavoro che Miceni aveva avuto fino ad allora assieme a molti altri.
— Io non chiesi giammai un aiutante — disse ridendo perché le sventure altrui stimolavano sempre il suo buon umore, — e se ti mandarono qui è proprio perché Sanneo non ne volle più sapere di te. — Chiese ad Alfonso quale fosse stato il motivo del litigio, ma la forza di fingere in Alfonso non giungeva fino a fargli inventare delle storielle.
— Non parliamone, — disse e il sangue gl'imporporò il volto come se fosse stato preso da una grande ira.
Alfonso pensava che avrebbe saputo adattarsi anche alla sua novella situazione e si rammentava che in altra epoca aveva anzi desiderato di passare in quella sezione freddamente calma. Gl'impiegati la chiamavano la Siberia perché di spesso dalle altre sezioni vi erano mandati per punizione, come Miceni, oppure perché si dimostravano non idonei al loro posto, ma anche in contabilità si poteva avanzare ed anzi Cellani stesso era stato capo contabile prima di divenire procuratore della banca. In quella quiete in cui il rumore degli affari non giungeva che fortemente attenuato, egli avrebbe potuto lavorare tranquillamente e felice. La sua paga e i denari che ancora possedeva dovevano farlo vivere per parecchio tempo e non v'era ragione di precipitare le risoluzioni.
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