Alla peggio gli doveva riuscire di convincere Annetta che, se si erano amati e non si amavano più, non c'era nessuna ragione di odiarsi.
Non seppe fare una sola cifra nel suo libro, né lavorare alla ricerca dell'errore che il giorno innanzi gli aveva dato tanto da fare. Alla sera l'impazienza divenne tale che ne venne cacciato dalla sua stanza e andò per la banca in cerca di persone con cui parlare e passare quell'ora che bisognava ancora attendere.
Andò da Ballina a chiedergli notizie della corrispondenza; pareva ch'egli ne fosse uscito da anni. Ballina, come al solito, cenava alla banca e quella sera stava cuocendo delle uova a una fiamma di spirito; le mangiava poi con pane e burro, inaffiandole con un bicchiere di vino. Spiegò ad Alfonso quanto poco gli costasse quella cena succulenta; circa settanta centesimi.
Alfonso dovette invidiarlo. Lo vedeva tutto occupato intorno alla sua salute e alla sua forza e con esito magnifico per quanto nelle circostanze più sfavorevoli. Dopo cenato faceva la sua passeggiatina allo scopo di agevolare la digestione e si coricava. Dormiva, a quanto raccontava, quieto come un bambino, stanco di aver copiato quell'infinità di nomi; non l'inquietava che il ricordo di qualche nome con troppe consonanti, ungherese o slavo.
Quando Ballina se ne andò, per perdere ancora una mezz'ora, Alfonso si recò da Starringer in speditura ove allora ferveva il massimo lavoro. S'imbatté nel vecchio Antonio cui era stato affidato anche l'incarico di portare le lettere alla posta.
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