Io, che non chiedo mai approvazione o parere prima di esprimere le mie idee, mi rivolgevo spesso al consiglio anche semplicemente telefonico di Giulio Tanini, allorchè si trattava di questioni sociali; ed Egli era sempre pronto ad esaminare benevolmente ed a discutere con spirito largo ed aperto, le più azzardate dottrine e ad incoraggiarmi a lottare per esse, anche se in parte contrastavano con i suoi principi.
Egli era un internazionalista, ma in pari tempo nutriva un amore grande per la sua terra e per il suo popolo, del quale conosceva la potenza insita che deve, per forza di cose, a dispetto di tutte le opposizioni e di tutti gli egoismi altrui, riportarlo alla preminenza della gente di Roma.
Allorquando i gazzettieri, i pennivendoli, ed i deputati eletti a spese dei gruppi bancari e siderurgici cercavano - come cercano tutt'ora - di commovere il pubblico con i ricordi delle repubbliche marinare per decidere il Governo a far costruire - con il sacrificio dei contribuenti - una flotta esuberante ai bisogni nostri, ma utile specialmente agli amministratori delegati ed agli azionisti delle grandi società industriali, Giulio Tanini ed io ci sentivamo invasi da un senso di dolore nel constatare il disonesto tentativo di deformazione dell'opinione pubblica. Eravamo concordi nel giudicare che dal medioevo tutto si è trasformato: le correnti dei traffici, il materiale navale, e delle attitudini naturali dei nostri avi una ancora è rimasta, l'elemento uomo, il marinaio che conserva le antiche virtù ed egli è l'erede delle vecchie glorie mercantili e guerriere.
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