Non sempre è usato, con tutta la severità che un critico di professione esige, quello che Dante chiamava lo fren dell'arte. La vena spesso irrompe e straripa; ma è una nobilissima alluvione, dovuta ad amore di patria e d'umanità così impetuoso da non conoscere dighe di precettisti. Altro che Calatafimi!
Il getto di lirica torrenziale, d'una facilità che non ha riscontro se non in Ovidio perchè la mollezza del Metastasio sarebbe fuori di luogo, celebra tutta l'epopea garibaldina, anzi l'intiero nostro risorgimento. Si potrebbe cavarne un'antologia di pagine bellissime. Vi sono strofe che non sarebbero disdegnate dai migliori. E se la critica passa innanzi senza occorgersi, non è essa che abbia ragione di ciò fare, perchè vi sono gruppi di strofe che per efficacia, per vigore di rappresentazione o per impeto lirico meritano di essere ricordati con ampie lodi. Il lettore è costretto a ricordare spesso gli eroi della soffitta del Costanzo: talora deve averli avuti in mente lo stesso autore; e il paragone gli torna ad onore. Lei chiede oblio ai critici; ma i critici non debbono obliare tutte le pagine di questo libro che oso dire valgono quanto altre pagine che vedo tuttodì lodate e portate sugli scudi. Il libro ha raccolto poi una quantità di memorie garibaldine, di episodi memorabili (come quello reso assai vivamente del mio amico Gianchin Francesco Carbone), di ritratti, di reminiscenze poetiche: tutto un repertorio secondario che basterebbe a rendere ricercabile il volume.
Io serberò il libro con le cose garibaldine che più tengo care, e lo citerò, come merita, quando se ne presenterà il destro.
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