E tra questi episodi uno dei più memorandi quello cui accenna il Senofonte dei Mille nelle sue auree Noterelle e che illustrò più ampiamente in uno degli ultimi suoi scritti, a proposito del libro di Gaspare Nicotri su «Le Rivoluzioni e Rivolte in Sicilia».
Mentre le rosse clamanti schiere cantavano i cori grandiosi dei crociati rivelati da colui che «diede una voce alle speranze, ai lutti», presso il Parco il garibaldino, nel cui petto ardeva il verbo di Mazzini, incontrò un frate, il frate Carmelo e
«una camicia rossa e un sajo strano»
parlarono come due vecchi amici.
Il monaco diceva - narra l'aedo - che pur ammirando Garibaldi gli parea che quella ch'egli combatteva non fosse la guerra di cui la Sicilia aveva bisogno.
Ed invero la santa crociata garibaldina desta sempre nuova sete, perchè l'ideale, come diceva il grande mistico russo, è irragiungibile. Ma è l'ossigeno eterno della vita.
«Tu sol - pensando o Ideal, sei vero
«che sei nervo di vita;
«il resto - e tutto - e tutti - un cimitero,
«per la morte infinita».
CORRIERE DI LIVORNO
14 Giugno 1915.
LA VISIONE DI CALATAFIMI
Arma virumque cano. Canta le armi di riscossa e la camicia purpurea, non canta amori o dame galanti, lo annunzia subito Giulio Tanini eletta anima toscana che mosso dalla ubertosa sua Lucca lancia sonoro dal cielo dell'Apparizione di Genova, il peana garibaldino.
Egli è barbuto grave di anni, ma sotto la bianca chioma folta e spiovente e dallo sguardo vivido attraverso il cristallo degli occhiali traspare l'intimo fuoco sacro di febbre ideale che ancora ne agita e scuote le fibre gagliarde e la mente fervida e sobbalzante ai lontani ricordi.
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