Ora voglio dire qualch'altra cosa della mamma e ciò lo faccio più per ispirarmi alla sua santa memoria che altro: Garibaldi nella sua autobiografia dice: - «È mia madre! Io asserisco con orgoglio, potere essa servir di modello alle madri. E credo con questo aver detto tutto».
E io pure credo, come il grand'eroe, che un buon figliolo null'altro dovrebbe dire di sua madre. Ma Garibaldi è Garibaldi e ciò che fece, (che furon gesta maravigliose che hanno creato un'epopea e un sublime canto umano d'eroismo cavalleresco) basta a ricoprire di luce gloriosa la figura soave di Rosa Raimondo; ma io sono Giulio Pane a secco, non ho fatto nulla; sono un essere volgare senza merito alcuno e dovrei troncar qui, se non avessi già detto perchè scrivo: dunque sento il dovere di far conoscere mia madre, perchè fu una martire e una santa e morì a trentun'anni per li strapazzi sofferti andando dietro al babbo nella guerra del '59.
Si chiamava Annunziata (ma per vezzo, tutti la chiamavano Nunziatina); della casata lucchese Rossetti, tutti poveri, e di popolo: del nonno materno non n'ho memoria affatto, salvo che si chiamava Tommaso, e mi pare fosse morto da un pezzo quando nel '64, conobbi tutt'intera la famiglia, nonna, zii, zia, bella come la mamma; la quale si chiamava Marianna; faceva, poverina, la sigaraia. A questo terribile, crudele e malsano lavoro (che l'umanità infame a grand'onta sua e per alimento de suoi vizi condanna giovani vite gentili) mia madre non fu condannata, avendo sposato in prime nozze un'artista di qualche pregio e più che mediocre, Giuseppe Colucci, scultore in legno e in marmo, morto giovanissimo di mal sottile.
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