Ada, poi, era la donnina di casa; lei spazzava e sfaceva i letti; comprava le cosuccie della spesa, cucinava e lavava in aiuto della mamma, la quale era sempre pallida e malandata. Posso veramente dire che io ne avevo due delle mamme: la grande e la piccina; perchè mai ho riveduto, dopo tanti anni, una famiglia di poveri che potesse vantare due operai buoni e dedicati l'uno all'altro come la mia cara mamma e la mia infelice sorella.
Rammento un giorno che, nel soffiare il fuoco, alla mamma schizzò in un occhio una favilla accesa e ricordo l'acuto grido che essa gittò, mettendosi una mano sugli occhi; io mi messi a sbraitare e a piangere, l'Ada corse a prendere la catinella, ma la mamma ci racchetò tutti e due con queste parole: «zitti, bambini, non è nulla, non è nulla; ora ci penso io;» prese un fogliolino di carta, l'arrotolò da una punta e ne fece un tubino lungo lungo e fine fine come un cornetto; poi prese Ada in braccio, la messe sul tavolino di cucina, e le disse: «io apro l'occhio e tu guarda bene il puntolino nero che ci dev'esser dentro e con la punta tiralo fuori.» In men che non si pensi, Ada cavò un frammentino nero di carbone e la mamma ci dette un bacio a tutti e due e un pallòccolo di zucchero.
Io nacqui con una naturina debole e stentata, tanto che tutti dicevano che non sarei campato di molto, e la mamma mi aveva sempre con sè e mi teneva in collo tutta compassione e accoramento: e devo anche aver avuto una malattia gravissima, perchè rivedo in confuso una camera buia buia e stretta stretta e un lumicino che mi passava sugli occhi e spariva (doveva essere il medico che veniva a visitarmi di notte), e un viso grassoccio e lacrimoso che mi sbaciucchiava e mi infradiciava tutto: e quella era certamente la nonna Carolina che veniva di soppiatto a vedermi.
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Ada Ada Ada Carolina
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