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      Doveva sanare, povero Cecco, mercè le cure del babbo, che se lo portò su a casa, piangendo fra le mani, bianco come un cencio di bucato.
      Al solito, se la riprese con la mamma, perchè, (gridava tutto arrabbiato) che l'aveva detto sempre di tener Cecco in cucina; la buona mamma, con quel suo temperamento calmo e soave si scusava; ma il babbo era un energumeno. Carattere fatale che mi fu cagione di tanti mali e malanni, avendolo ereditato anch'io tal' e quale.
      Ma, per tornare a Cecco, la povera bestia, dunque, mi ricordo che il babbo se la portò in camera, gli fasciò la zampe con de' cenci che tirava e tirava e mentre tirava, rivolto a me mi fa: - «O rospo, se mi tocchi Cecco, ti rompo le zampe anche a te.» O volete credere che io, piccino com'ero, mi andai a nascondere nell'angolo più buio di camera; e ci stetti tutta la sera, senza voler mangiare la pappa che la povera mamma mi portò due o tre volte e carezzandomi mi diceva: «giucco, non pianger piú, chè il babbo tanto non c'è; vieni, vieni in cucina con Ada,» e ma io, duro.
      Una mattina, succhiavo la mia tazza di caffè e latte, sento sbatachiar l'uscio e mi vedo Cecco tutto rotto e sgangherato con la testa alta e gli occhi allegri che si trascinava verso il mio cantuccio. Bisognava sentire e vedere le carezze della mamma che piangeva, io credo, più per veder Cecco venirmi a cercar me, che per la felice saldatura delle gambe!
      Cecco non morì, nè io, quella volta, ne buscai; ma finì poi peggio, perchè poveraccio, di molto tempo dopo, arrabbiò e mio padre, lo dovette ammazzare con una pistolettata.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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