E a questo proposito mi ricordo narrandomi il fatto tragi-comico che era accaduto proprio a lui un giorno che se ne stava a sedere in cucina aspettando il babbo. Cecco, avendolo sentito montar le scale zufolando, s'era slanciato alla porta passando dietro la seggiola della nonna facendola andare a ruzzoloni per terra. (Forse s'era scordato delle lacrime versate quella volta che gli cascò a' piedi dal 5° piano!).
La memoria del fido e intelligentissimo Cecco, l'amico buono della mia tenerissima infanzia, durò in casa moltissimi anni; e la nonna Carolina me lo ricordava sempre, anche da grande, e con tenerezza mi diceva: «Vedi Giulio, a volte è più buono un cane, che un cristiano». E quante volte, dopo, mi sono ricordato di quelle parole e le ho dato ragione, e il bel mascherotto nero di Cecco, che pareva avesse gli occhiali, per due grossi cerchiolini gialli sugli occhi, e mi sono ripetuto a me stesso quel vecchio aforisma «quanto più conosco l'uomo, amo il cane», che non ricordo più chi l'ha detto, ma che mi calza a pennello come morale della favola, come se l'avessi inventato io.
Gli uomini duri, i ben pensanti, gli scettici, i felici, e gli spensierati mi rideranno sul muso, qui, a questo che, forse, crederanno tenerume di cuore. Ma io devo insistere che almeno i cani non ti chiedono danaro e poi non te lo rendono più; non ti fanno firmar cambiali e scappano; non ti stanno a sentire con quattro orecchi per poi farti la spia e tradirti come mi hanno fatto di molte volte durante la mia vita; e, finalmente, se ti costano qualche soldo, te lo ripagano con tante feste e capriole e urla gioiose e dimenii di coda, che proprio ti fanno dire che la natura ha sbagliato a dar la favella agli uomini e fare muti loro, che parlano con gli occhi e con l'anima, t'adorano e ti salvano la vita e ti seguono anche nel fuoco o ti cercano fin nel camposanto.
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Cecco Carolina Giulio Cecco
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