Ho lasciato all'ultimo il parlar di lui, e questo deliberatamente: ora sentirete il perchč.
Mio padre era un uomo d'una bellezza rara e ridente. Piccolo di statura, grossetto, fortissimo, aveva ritrātto dal tipo puro toscano due cose eccezionali: un paio d'occhi verdi chiari a scagliette d'oro, che gli ridevano sempre; un sorriso piacevolissimo, tutti i denti sani, piccolini e serrati che, con gli anni e il fumare, gli erano diventati neri neri, e due mazzetti di rugoline agli occhi che gli davano un'aria di allegria e di bontā.
Ve ne presento il ritratto: guardate se non č vero?
Eppure nulla era, a dire la pura veritā, ridente e allegro in mio padre; avvezzo, fin da monello, alla vita rumorosa e sbrigliata della caserma (ho dimenticato dire che mio padre fu prima soldato di cavalleria di Leopoldo II) e a comandare, per lui, soldati o ragazzi, cavalli o donne, eran tutt'uno, ci trattava tutti col cipiglio del graduato, e guai a non obbedire o a contrastarlo. Manesco cogli uomini e con le bestie, a noi menava ceffoni con indifferenza somma, tantochč io e mia sorella e la mamma, vivevamo col terrore de' suoi occhiacci verdi e tempestosi come il mare, arruffati e sottosopra sempre, e, come i tempi, sempre in rivoluzione.
Era poi piacevole e d'ottima pasta e casalingo assai e molto affezionato alla mamma, che, in tempi opportuni gli faceva fare quel che voleva. E a questo proposito m'č caro ricordare che a Piacenza trā 'l '59 e il '60, poco prima della morte di questa disgraziata, l'ho visto io co' ferri, stirare le sottane e le camicie e le robine nostre.
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Leopoldo II Piacenza
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