Quegli esempi di cattive maniere, di prepotenza, di punizioni ingiuste inflitte a creature umane la cui unica colpa era di non poterne più, mi destò in cuore un orrore e una ripugnanza così forti contro la vita militare, che decisero poi, come il lettore vedrà, di tutta la mia esistenza avvenire e degl'innumerevoli avvenimenti dei quali fui magna pars....
Però anche oggi - dopo quasi settant'anni da allora, - sebbene riconosca, in fondo in fondo, che per que' tempi gloriosi l'Italia fu fatta e riunita in nazione, e tutti i tiranni cacciati dalla disciplina, dalla bravura e dalla forza che teneva compatta l'armata; io benedico il cielo che mi fece disprezzare la carriera delle armi a cui mio padre assolutissimamente voleva dedicarmi, accettando piuttosto d'essere cacciato da lui e costretto, quasi fanciullo ancora, a viaggiar solo solo in diligenza, tra i monti e le valli pistoiesi, sepolte sotto la neve, in un doloroso aprile del 1865, viaggiando verso Lucca, orfanello di madre e di padre.
Egli, era, (come suol dirsi) «un carattere»; sesto figlio di Giulio Alessandro senese, maestro abilissimo (oggi si direbbe professore) di calligrafia, morto a 28 anni per errore d'una medicina che il medico gli somministrò e che era come fu accertato un veleno; il povero nonno prima di morire radunò tutta la famigliola attorno, vòltosi al dottore additò i poveri piccini dicendogli: «Vede dottore a che disgrazia mi ha condotto! mojo avvelenato, e spero che si ricorderà d'ora innanzi, che a fare il medico ci vogliono gli occhiali.
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Italia Lucca Giulio Alessandro
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