Posso dir con tutta franchezza che l'anno 1859 segnò per la mia vita il punto di partenza della infelicità mia immediata, e di quella che continuò senz'interruzione fino al presente in cui scrivo, con quasi settanta anni sul groppone, il peso non indifferente delle mie disillusioni e de' miei molti mali.
In queste Memorie io parlerò quasi sempre di povertà; mai di ricchezza, nè di beni, nè di comodità; come se io mi fossi proposto, fino da quando ebbi il don della ragione, di vivere povero come Giobbe, spregiatore delle ricchezze e delle cose belle di cui tanti (anzi la maggior parte) e in tutti i tempi (ma nei nostri cento volte di più) vanno a caccia con ottimo risultato, senza badar troppo a' modi, magari anche avvicinandosi, con pochi riguardi, alle tele di ragno dei codici civile e penale che i mosconi grossi sfondano allegramente, ma in cui i moscerini s'impigliano con somma facilità.
Ora, se voi mi domanderete in un orecchio se mi fosse piaciuto di più la ricchezza o la povertà, io non saprei trovar lì per lì una risposta sincera: perchè, certo la ricchezza è una bellissima cosa, e la povertà è la sorgente di tutti i mali e la causa dell'infelicità di nove decimi degli uomini, ma d'altra parte, se si nasce con un temperamento felice che non sente le punture de' disagi, nè il freddo delle povere robe, nè lo squallore delle soffitte in cui si è costretti a passar la vita; mi pare che niun altro stato sia più bello e indipendente che quello di una onorata miseria.
La mia buona mamma era giunta a un punto però in cui sarebbe stato ben difficile un ragionamento filosofico a questo modo; pativa la poverina, e noi capivamo ben poco dei suoi limi e delle sue strettezze: un pezzo di pane, due castagne secche, un neccio, una fetta di polenta dolce, un po' di castagnaccio, erano per noi alimenti più saporiti delle beccacce, delle starne e de' tordi che lo zio Policarpo mangiava nella sua Magona!
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Memorie Giobbe Policarpo Magona
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