Le lettere che mia madre scriveva al babbo, partito per la Lombardia, teatro della guerra, lo decisero quindi a un passo azzardato e veramente terribile! chiamare, con sè la mamma e noi, al reggimento. E la nonna, lo stesso buon Policarpo, non dovettero veder male questa risoluzione: sparirebbe dai loro occhi una scena lugubre e pungente; perchè se la miseria e la pittura del triste bisogno possono essere un lieto e sopportato beneficio per il filosofo; a chi sciala e gode e mangia e beve e si diverte, gli è di rammarico e l'urta e gli fa tornare a gola tutti i godimenti e tutto l'egoismo di cui è lardellato! Miserabile spettacolo a' ricchi, i quali, quanto più e possono, schifano di voltar gli occhi ai quadri dolorosi che il mondo spiega loro ogni poco dinanzi.
Mi ricordo come se foss'ora, il giorno della partenza: i baci le lagrime della mia cara mammina; quella disgraziata aveva prima dovuto versare pianto nel dire gli addii alla nonna Serafina, alla zia Marianna, agli zii Raffaello, Gigino e Tabosso; e questo nella mattina, perchè gli addii della sera erano riservati alla parte aristocratica della famiglia (ramo nobile).
Finalmente, come Dio volle, con un ultimo strappo della mia buona zia Adelina (Baggi), sonò la campanella, zirlò il fischio e via.
La ferrovia, a que' tempi, non c'era; ossia, c'era ma per piccoli tratti; da Lucca - (che fu una delle prime linee) s'andava a Pisa e a Livorno (ferrovie Livornesi) e lì bisognava prendere il vapore di mare per Genova.
Giunti a Pisa, e scesi di treno; un bell'omo giovine come mio padre, ma alto alto (pareva un granatiere), lo riconobbe e giù braccia al collo e strette di mano alla mamma: noi uno per volta ci tirò su come piume con due braccia di ferro e ci sentimmo stampare sulla bocca due baccioni come quelli che ci dava il babbo.
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