Partimmo da' Quattro Castelli di notte. (Non sono mai riuscito a capir perchè s'andasse sempre di notte su e giù per quelle montagne) e cammina che ti cammino, s'arrivò, pure di notte sulla sponda di un gran fiume, vicino all'imboccatura di un gran ponte che noi passammo in gran fretta (non ho mai capito il perchè), al buio, soltanto illuminate le compagnie da' lampioncini coloriti attaccati a fucili, più quà più là, che dondolavano in un modo curioso.
Era il Ponte di Barche di Piacenza: che so esistere ancora sebbene, accanto ve ne abbiano fatto uno di pietra.
Eccoci a Piacenza e di costì s'andò a Parma e ci fermammo, finalmente. Quì o buon lettore amico, dovrò sostare un poco, per ravviare il pensiero e descriverti, come meglio saprò, la sventura immensa che mi colpì, e che mi stroncò il futuro, e che mi ritorna a mente come la più orribile sciagura ch'io provassi mai in tutto il resto dei miei anni, che furori molti, e che sorpassa tutti e i maggiori dolori da me provati: la perdita de' figli, i tradimenti di amici e di congiunti, tutto.
La morte di mia Madre.
Essa non aveva che 28 anni ed era partita dalla Toscana da un anno; incinta, attraverso le gole delle montagne, adagiata sui pochi cenci nei carri sempre in moto; manchevole di tutte le comodità che sogliono necessitare le donne, specie se deboli e delicate; giunta a Parma s'allettò; partorì, e le fu tolto il bambino (che fu chiamato Vittorio), e che morì quasi subito a balia.
Una notte (saranno state le 3) entrò l'ordinanza dove io dormivo; mi sveglia di soprassalto, mi dice di stare zitto e d'andar con lui.
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