Vestito e mezzo imbambolato ancora, mi conduce alla porta di uno stanzone buio buio, illuminato appena dal fioco chiarore di una candela, e che mi parve immenso. C'era un gran letto di ferro dipinto di verde e su quello, tutta coperta fino alla gola, agonizzava l'infelice mia madre che io non doveva riveder mai più, nemmeno in ritratto,
In una seggiola sedeva, cupo in faccia, mio padre; accanto due signore (erano le mogli di ufficiali che volevano tanto bene a mia madre); dall'altra parte del letto, un uomo nero nero che io non seppi mai chi potesse essere; ma che doveva essere il dottore, o il prete.
Poco ricordo di quel supremo istante; meno che fui tirato dolcemente vicino alle coperte, una mano fece atto di posarmisi sulla testa....
Un minuto dopo, mi trovai nella strada con l'ordinanza e su su pareti di neve alte, come una galleria, che sorpassavano la mia testa di molto.
Dove andavamo? cammina cammina, attraversammo la città addormentata; albeggiava appena: giungemmo di fronte a un gran palazzo il cui il portone gigantesco era chiuso, come quello di una Caserma; bussato, s'aprì una finestra, sporse una testa; quattro parole e l'usciolino tagliato nel gran portone s'aperse e apparve una giovane con una lanterna; s'entrò; e vidi correr giù, da una scala di marmo bianco con certe balaustre quadrate che ci si sarebbe potuti camminare su, la mia cara Ada, accompagnata da una signora, tutta imbacuccata.
Io non capivo, nulla; ma Ada, che era più grande di me di sei anni, piangendo mi abbracciò, mi prese per mano, con quella signora e.... quì non ricordo più niente, e solo riferirò quello che seppi poi da mio padre alcuni anni dopo la fatale e irreparabile perdita.
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Caserma Ada Ada
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