Ma oggi, vecchio, a quasi 70 anni da que' tempi, nascosto in una gola d'una montagna, solo, con la penna fra le dita e la visione dolorosa di tutto il mio passato trascorso invano; sul limitare della fossa non d'altro preoccupato che di rammaricare con tutta l'anima mia, la nullezza della mia persona e giudicar me stesso come fossi veramente a un tribunale e mi dovessi render conto di tutto quanto feci o non feci o che avrei potuto fare in tant'anni aiutandomi col po' d'ingegno che madre natura mi aveva dato; oggi, dico, ripensando alla morte della mia povera mamma, mi sento sforzato, non dico a piangere, (che questo lo fo silenziosamente, e l'ho fatto ben altre e tante infinite volte) ma considerare con cuor d'uomo e di filosofo i mali infiniti e irreparabili che la morte della genitrice trae seco sempre, e che non possono esser giammai riparati da nessuno, nemmeno dal padre sia pur buono, amabile e onesto quanto si voglia. Sì, lo ripeto, l'uomo more due volte, quando perde la madre, e poi lui.
Mio padre era militare e bell'uomo; ufficiale, portabandiera, giovane com'era (aveva 30 anni) si capisce che avesse sempre, dopo la morte di mamma il capo in cembali; mi si disse, col tempo, che pianse, si disperò, penò molto; ma, dice il proverbio: «il morto giace e il vivo si dà pace»; e mio padre pace se la dette allora e poi; sotterrò la mamma nel Cimitero di Parma e le volle elevato, si disse, un ricco monumento di marmo: cosa strana, quando fui grande, le donne di casa mi dissero che la mia povera mamma non la volle mettere a giacere nella tomba, ma seduta.
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Cimitero Parma
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