) e ora, ripeto, Italiani, avesse poca voglia di servire il bianco, rosso e verde di re Vittorio; il fatto sta che molti giovani si mozzavano le due dita della mano destra o si spezzavano i denti incisivi superiori, perchè caricando il fucile bisognava strappar co' denti le cartucce e senza dita non si poteva tirare il grilletto. Piuttosto la prigione che portare il sacco sulle spalle.
Passo passo, arrivammo anche a Palermo, ove entrammo tardissimo; e ricordo questo e anche l'ora, che erano le otto, perchè ci fermammo in mezzo a un gran crocevia dove si diramavano quattro strade lunghe lunghe e illuminate; alzando gli occhi, su, a una specie, non ricordo più se una chiesa o un palazzo, vidi un immenso orologio nero nero, col lume dentro: non avevo mai veduto una cosa come quella e l'impressione fu perciò fortissima. Eravamo, nientemeno, che nel core di via Macqueda, ove, si può dire, Garibaldi aveva fatto miracoli d'eroismo co' suoi Mille, nel glorioso giorno 27 maggio '60, e costì, o poco discosto, v'era il Pretorio che rimarrà in eterno famoso come il Pantheon di Atene e il Campidoglio di Roma.
O Palermo, nobile mia Palermo; e dico mia, perchè ti amo come italiano, come fratello, come cittadino, e mi esalto nel tuo sacro nome, nel ricordo tuo maraviglioso, per le gran gesta che ti fecero eroina d'Italia, con Milano, Brescia, Venezia; o Palermo, città di sogni di poeti e di eroi; sublime fra quante città conobbi per il tuo gran cuore e le tue grandi e mirabili venustà e i tuoi ricordi d'indipendenza e d'intolleranza; coloro che non ti hanno adorato alla frenesia come ti adorammo bambini giovani e vecchi; coloro che non ti seppero elevare per tanti e tanti anni al grado di regina della tua grand'isola; coloro hanno meritato veramente il disprezzo d'ogni cuore lealmente italiano e sinceramente devoto alla tua fama.
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