Conservai nel mio giovine e povero cuoricino di ragazzo sperduto (per tanti e tanti anni) il tuo grande e sublime ricordo: a cinquant'anni tornò a rifiorire nel mio animo quel sentimento indicibile di affetto filiale verso di te - Palermo divina - e nel 1911, nel mio viaggio agli Stati Uniti - ho voluto rivederti e non solo; ho ripasseggiato la tua via Macqueda; mi sono soffermato, rievocando le impressioni giovanili, sotto i tuoi famosi monumenti; ho riveduto i segnali delle bombe, che ancora si additano al forestiero con ribrezzo e con amore, esaltando il Gran Solitario di Caprera; ho riveduto il tuo Ponte dell'Ammiraglio e ho avuto la suprema gioia di parlare a un mucchietto di amici che meco aveva portato dalla città. Essi volevano andare al cinematografo; ma dopo, al nostro ritorno, mi ringraziarono perchè io li aveva condotti come a un battesimo di fede e di italianità: mio figlio mi accompagnava! e a lui feci vedere i luoghi ove fanciulletto io ho dormito sotto una povera tenda di soldato, felice ora se, dopo tante traversie e tante venturose vicende, ho avuto la suprema soddisfazione (che è un orgoglio legittimo, io spero) di richiamare le ricordanze di fatti e di eroi che l'implacabile ala del tempo par che voglia coprire ormai con la sua nera ombra spietata.
Vorrei avere la penna di Dickens per poter descrivere a puntino tutte le impressioni che quel soggiorno in Sicilia, impresse nel mio cervellino; rammento bene le grandi accoglienze che quelli ospitalissimi e patriarcali abitanti ci fecero in tutte quelle marce, su e giù per l'Isola: Caltanisetta, Trapani, Caltagirone, Modica, delle più grosse terre, e poi i borghetti sperduti pe' monti, contornati di selve, e tutti quei campi sterminati di fichi d'india, che, a dire il vero mi piacevano poco; e quei lettoni alti alti e inclinati, che ci offrivano con tanto di cuore.
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