- Ma il più bel ricordo lo tengo fisso in mente, ripensando alle luminaria su pe' monti, e li scoppi de' mortaretti, che fendevano il cielo e spaccavano gli orecchi.
Tutte le montagne, i colli circostanti, l'azzurro mare, il meraviglioso monte Pellegrino, luccicavano di fuochi e falò accesi, quasi ogni sera, per festeggiare non so che santa; e le processioni? Un carnevale.
Si figuri il lettore una fiumana di popolo bruno e adusto, con certe papaline nere in capo, e donne e fanciulle e picciotti e ragazzi e strimpellii d'istrumenti di ogni genere; e razzi e mortaretti, e zampogne e pifferi; era una babilonia che la descriverebbe bene soltanto quell'unico Neri Tanfucio della mia Toscana; e tutt'a un tratto colpi di gran cassa e marcia di tamburi: ecco i frati e i preti, il cardinale e il vescovo, chierici e i chierichetti, con gran torce accese in mano; lunghe filate di bimbi piccini e grandi, e bambine e giovinette, centomila rose e gigli che fiorivano allora co' vestiti di velo bianco e celeste e con cent'occhi che le gemme del cielo erano pallide al loro confronto; poi le mamme e le nonne, vecchioni e vecchione riseccoliti e grinzosi ma forti, duri come l'acciaio, con certe bocche sdentate ma pronte a gridare ancora «Morte al Borbone» «Morte au surciu»; ecco la Gran Santa Rosalia, la mamma di Garibaldi, come la chiamavano nel '60, che lo aveva fatto sbarcare a Marsala e poi da Calatafimi e da Piana dei Greci, da Gibilrossa girò fino a liberare la sua bella Palermo.
Costì intorno al gran simulacro, una vera battaglia: il fuoco e il fumo di polvere acciecavano; ogni poco si mutavano i portatori, che sostenevano quel peso e portavano argento addosso a profusione.
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