«Poscia più che il dolor potè l'amore» e piansi, piansi di cuore la perdita di quella mia povera sorella che era di una bellezza straordinaria e di grande intelligenza: morì a Viareggio, mi dissero poi di congestione cerebrale per un bagno preso fuori tempo. Ma a me sta in idea che fosse menengite; di codesto male ebbi poi nel '65 a soffrire anch'io e fui salvato per puro caso.
Qualche giorno dopo mio padre mi fece vestire con meticolosa pulizia; i bottoni, le scarpe, la daga brillavano a forza d'averli fregati e rifregati col lustrino e la stecca; lui si vestì in gran tenuta, mise la sciarpa a tracolla e via. Si attraversò tutta la galleria del quartiere, tutti i cameroni ed eccoci nel salone del Colonnello.
Stava il Cadolini passeggiando in su e in giù nell'ampio stanzone con le mani incrociate di dietro: era un uomo secco alto, nerboruto; io ne avevo avuto sempre gran timore, come, credo, l'avessero tutti i suoi sottoposti; ci avviciniamo a quell'uomo già grigio, col pizzo all'italiana, tutto rimprosciuttito e nervoso.
Mio padre mi bisbiglia: «Vai a baciargli la mano». Per dire il vero sentii lì per lì ribollirmi le viscere; ero già un carattere poco amabile; la vita passata fra gente rude, tra soldati, senza la gentile, delicata, pietosa educazione d'una madre, ero venuto su selvaggio e riottoso: rusticità e timidezza furono poi sempre il fondo del mio carattere.
Gl'imperiosi sguardi del babbo non ammettevano ribellioni: o ubbidire, o aspettarsi sonori ceffoni a casa: m'avvicino rapidamente a quel coso duro che andava per in là, sempre co' pugni intrecciati sulla schiena; mi avvicino, gli prendo una mano e in un baleno gliela baciai soavemente.
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