Ci capitò un alloggio in Via dell'Inferno (scusate se è poco, e inferno doveva davvero diventar tra poco!) e mio padre, l'ordinanza con le casse sur un carrettino e io, ci avviammo lietamente al nostro domicilio.
Grandi strette di mano di mio padre col padron di casa; la moglie, le figliole, i ragazzi salgono le scale a quattro a quattro facendomi corona a me che, vestito da soldato, dovevo parer loro un semiddio; presentazione della casa, e poi dentro alla camera destinataci: ringraziamenti di mio padre, scuse del brav'uomo ospite nostro.
Tutt'a un tratto, mio padre, voltando gli occhi alla parete a capo del letto, vede, intravede.... riconosce il ritratto di Garibaldi.
(Me ne ricordo come foss'ora e inorridisco di repugnanza, di vergogna, di dolore).
- «Chi è quell'individuo!», grida mio padre con l'indice, teso versò il povero glorioso ritratto del gran vecchio.
- «Individuo!» - tuona più forte, bianco come un cencio lavato e tremando da capo a piedi il buon piacentino.
- «Questo è il Padre Eterno, è Dio sceso in terra, è l'Arcangelo Gabriele.... e giù bestemmie da fare inorridire».
«Lei, sor tenente dei miei c.... se ne vada subito di casa mia. Questo è il mio generale, che ha dato al suo re un regno e ha fatto la Patria».
Mio padre gli si scaglia adosso; pugni e schiaffi volano; le donne strillano; Cesare si fa piccino piccino, io sto in un angolo di una finestra più morto che vivo; corrono le donne come matte giù dalle scale; monta gente; uomini, giovanotti; un casa del diavolo; disarmano mio padre (vergogna) che voleva ammazzare quel bravo garibaldino.
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