) e mi presentai più morto che vivo sulla porta del, per me in quel momento, tenebroso speco infernale.
Un guazzabuglio di paure, di vergogna, di dolore, di rimorso tempestava nel mio capo; mi batteva il core forte forte; ma... o bere o affogare... eccomi di faccia alla Vivandiera; tutto il banco è circondato da gente che beve, mangia, sghignazza, canta: m'avanzo col capo basso e alzando la mano col baiocco teso....
Qui devo dire che la nobile donna, quella povera diavola rozza che aveva, sto per dire, vissuta la vita eterna del campo; che aveva tre o quattro medaglie (e bisognava vedere come se le portava tutta sgargiante, alle riviste) sul petto (erano del 48, di Crimea, del 59) capì per aria di cosa si trattava; riprese ridendo il baiocco, mi dette un sonoro bacione in bocca e m'inzeppò le tasche di susine. Per fortuna che non sentì il calamaio, che io appena uscito di lì, ruppi con una pietra, affinchè mio padre non me lo trovasse addosso.
Costì non finirono i miei crucci che dovevo scontare ben amari: mi messe in prigione e mi ci tenne quattro giorni; mi ci faceva levare alla sera e il giorno dopo, dentro; qui patii ancor più la fame che io sempre soffrii al reggimento, in modo veramente crudele.
Perchè - mi domanderà il lettore - perchè la fame? o il babbo non ti dava da mangiare?
L'ho già detto e ripetuto: no. Io mangiavo il rancio e il pan nero, e avevo sempre fame. Di due cose mi ricordo ancora con terrore: della fame e del freddo; la prima, mi durò per tutto il tempo che stetti e furono otto lunghi anni, col babbo; la seconda ne' tre anni che rimasi con la famiglia del patrigno di mio padre, come dirò poi.
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Vivandiera Crimea
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