Fiorenzuola, Parma, Reggio, Modena, Bologna! Fino alla Porretta, il mio treno mi condusse, glorioso e trionfante, attraverso campagne che il mio piccolo piede aveva battute nelle lunghe e faticose marce; sfilavano alla mia memoria ricordi lieti e tristi; era per me come un sogno, una sfilata di visioni che io solo intendevo, senza poterle capire nel profondo: i miei compagni di viaggio mi porsero, con quella bonomìa caratteristica dei campagnuoli emiliani, un pezzo di pane e una fetta di ricotta. Cominciai a sgranchir le gambe e lo stomaco e narrai le mie vicende e que' poveri villici semplici e primitivi non facevano che dire: «O poarin..... com'al fa, un pover bambinel com' lü a t'l mandar tut' sol tant lontan! O poarin, poarin».
Sono stato sempre di uno spirito timido e ritirato e ho, quasi quasi, durante la mia vita desiderato più il disprezzo che la compassione; e tanto l'uno che l'altra gli ho considerati nemici da doversene guardare; ma al disprezzo si può sempre contrappore un disprezzo maggiore o una dose di maggior superiorità, mentre dinanzi alla compassione ci sentiamo specialmente i giovani, come prigionieri e con le catene ai polsi.
Quindi io giustificavo il mio buon babbo in mille modi, inventando ragioni e motivi che non esistevano e se ho pianto silenziosamente a lacrime cocenti per il di lui abbandono; che certo quel viaggio fu terribile per me. Sono trascorsi quasi settant'anni; e ancora rivedo la buona vecchierella emiliana che piangeva con me, per un dolore non suo!
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