Giunti a Bologna, bisognò cambiar treno e tutti scendemmo: quando si viaggia, si stringono amicizie, si fanno mille promesse, centomila castelli in aria; pare che chi ha viaggiato un paio d'ore con noi, sia divenuto un parente, una persona che non dovremo più lasciare; ma ecco s'apre lo sportello, tutti si scende, ognuno si preoccupa del suo fardelletto, c'è il tempo a malapena per dirsi: «Addio», un, addio o un «arrivederci» lontano lontano, tutto tristezza e malinconia.
Sparirono come per incanto i miei buoni amici e io mi ritrovai, a un tratto, sur una banchina della stazione, col mio zaino per le cinghie e il fagottino de' panni a' piedi.
- «Dove vai lei» (mi fa la voce sgarbata d'una guardia di stazione).
- «Vado a Lucca (rispondo).
- «E allora, sta costì come un baggiano? presto ecco laggiù il treno di Porretta, via, via, si muova».
Era nevicato e la piattaforma tutta coperta di neve soffice bianca, nascondeva i binari e le aste degli scambi. Ruzzolai, caddi, mi rialzai fradicio e doloroso, e corsi a prendere il posto.
Eccoci dopo mezz'ora a Porretta: scendiamo tutti: non si va più avanti, perchè la ferrovia o non esisteva allora o era successo qualche guasto alla linea: era tardi, avevo fame; un viaggiatore mi spiega che da Porretta a Pracchia non si va che con la diligenza o a piedi, e il meglio da farsi è d'andare a mangiare.
Così infatti facemmo, e dopo dieci minuti eravamo dinanzi a un gran foco di ceppi e di pini scoppiettante che rallegrava il cuore; sfibbio il cinturino, mi tolgo la daga e metto tutto sur un lettino, in una stanzuccia lì vicina; mangiammo, ci scaldammo tutti allegri; ognuno racconta le sue avventure; io ho le mie che fanno e ridere e piangere; a un tratto si sente una gran campana; cos'è cosa non è, la diligenza è pronta; pago i miei quattrinelli, vo in camera a ripigliar la mia robina.
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