.. non c'č pių nulla nč daga nč zaino solo m'č rimasto il fagottino.
Chiamo, protesto, prego; nulla, e intanto di gių mi chiamano con sagrati e maledizioni per il freddo che tutti patiscono, si dice, per me. Non c'era rimedio, bisognava lasciarsi rubare e partire... e io mi lasciai rubare e scesi e montai in serpe col conduttore, perchč tutti s'erano, naturalmente, accomodati nel loro cantuccio dentro la diligenza piena zeppa.
Ma presto dimenticai l'arme e il bagaglio, e oggi benedico che fosse cosė perchč la reputo un'ignominia avvezzare i ragazzi a cingere l'arma, che č il simbolo della crudeltā umana, dello sfruttamento e della tirannia.
O mie belle montagne pistoiesi, o splendide foreste di pini, di castagni e di quercie secolari e gigantesche! Come vi rivedo, nel pensiero, passare e ripassare dinanzi al mio sguardo maravigliato: la neve, alta pių d'un metro in certi punti, pareva zucchero piovuto dal cielo; a vedere quegli alberoni con i rami forti e robusti foderati di velluto bianco, intrecciati di stallattiti di cristallo, gonfi e spioventi quasi, fino a toccar terra; e di quando in quando, scappar via da una siepe dello stradone che si divincolava e scendeva gių gių l'aspra e pur dolce montagna, una lepre, uno scoiattolo, e folate di uccelletti spauriti che volavano in cerca di becchime...
Faceva un freddo terribile: il mio bravo conduttore, impietosito, m'aveva coperto con un suo tabarrone di panno casentino, e, di quando in quando, dalla borraccia, che avevo piena di vinello, bevevo e stavo allegro.
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