Mi sentivo solo, in mezzo al mondo, fra la neve e i boschi; mi rimuginavano nel cervellino certe figure di ragazzi fuggitivi delle novelle che il caro Cesare m'aveva raccontate e mi pareva d'essere anch'io un piccolo eroe, che so io, il padron di me stesso...
Sogni, sogni, sogni!
A Pracchia si smontò; presi il treno che m'indicarono, ci saltai dentro e alle 5 di sera mi trovai scaricato sotto una tettoia grande grande e buia buia, tra una folla di gente sconosciuta e affaccendata. E a forza di spintoni mi ritrovai, anch'io, nel bel mezzo della stazione: «Lucca Lucca».... ero arrivato finalmente e, per dire il vero, costì, sotto quella nera e fuliginosa tettoja, mi sentii cascare il cuore nelle viscere: apprensione, malinconia, timore, fame, noja, e stanchezza mi presero tutt'insieme.... per abbandonarmi tutt'a un tratto...
Un bel vecchione, con una bella barbona mosaica, con in capo un bel berretto pieno di galloni, corre verso di me e mi grida: - «Giulio» «Giulio» sei arrivato? bravo, bravo ora verrai con me».
Era, quell'onesto vecchio, il buon Odoardo Carina, Capo Stazione e amicissimo e camerata di mio padre: avevano fatto le campagne insieme ed era stato un valoroso a Curtatone e Montanara anche lui. Lo ricorderò qui, di passaggio, perchè avrò a occuparmi del degno vecchio più innanzi: l'ho sempre ricordato porta bandiera a tutte le dimostrazioni politiche di Lucca, specie a quella del 29 maggio, quando tutte le autorità si recano a far omaggio a' caduti toscani di quella memorabile giornata nella antichissima basilica di San Romano.
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