Era la casa della Cuccagna; una vera Magona; preti e frati e secolari scroccavano le ricche imbandigioni del buon patriarca, in una festa continua, sempre nuova.
Che quella casa fosse davvero la casa dell'abbondanza l'ho già detto narrando il fatto della zuccheriera caduta, con tutto lo zucchero sparso sul pavimento; la frase tipica dell'angelica zia Adelina, ne è la prova - «Stai allegro, Giulino, quì sarai felice; non avrai più fame, nè freddo; non farai più lunghe marcie; non ti metteranno in prigione».
Povera zia: essa mi amava più di una madre e le sue lacrimette mi avrebbero dovuto dimostrare che buona era l'intenzione. Eppure: oh quante volte in quegli anni, ho desiderato il mio rancio e il mio pan nero e mi sono ricordato del verso di Victor Hugo:
Mangez, moi je préfère,
Ton pain noir, Liberté!
piuttosto che vivere una vita di costrizione, fra genti (buone e generose nel fondo) ma che mi facevano però a ogni poco sentire la mia infelicità: quella che mi ricordava d'essere orfano, in casa d'altri, raccolto per pietà, facendo il servitorino a tutti, trattato come un estraneo, io che tanto affetto e amore e simpatia sentivo per tutti, che lo dimostravo nella pratica della vita che nasceva allora, con un attaccamento (brutta parola francese ma che il lettore mi permetterà) di figlio, col rispetto della riconoscenza, col fervore d'essere utile, buono, mansueto e gentile.
Ora tu lettor mio se non ti sei annoiato a legger queste fanfaluche tirate giù alla buona, sentirai prima se ti dico il vero, che ero capitato nel regno de' sogni.
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