Se lo rubavano ne' teatri e nei concerti perchè, - dicevano, - faceva proprio cantare l'ottone. Nel 1862 mentre eravamo a Messina, passò da quella città per abbracciare il babbo; se n'andava ad Alessandria d'Egitto, dove poveretto, iniziatosi nelle bevande spiritose, costì morì in età verdissima, lasciando la moglie, Raffaella, e mia cugina Landomia, della quale a suo tempo parlerò.
Rimasta la nonna senza i maschi, sposò il maestro Policarpo e per aver tutti i figli insieme s'accordarono di trasferirsi a Firenze: quivi il nonno s'acconciò dall'avvocato Meconi, uno de' più famosi di Firenze: giovane d'ingegno, di carattere remissivo e placido, e non tardò a prendere in mano le chiavi del principale; morto il Meconi, lo lasciò erede universale dello studio e dei suoi denari: non tanti.
Il nonno Policarpo vide subito che Firenze, città grande e ove erano moltissimi e celebri uomini del Foro, poco o punto avrebbe potuto fare; chè infatti nell'anno che rimase solo, d'affari n'ebbe pochi, e la famiglia patì la povertà, tanto che la zia Adelina, (che fra tutti i figli della nonna pareva avere ereditato un cuore grande come il Sole) fu costretta per un anno, a lavorare in bianco lontano da Firenze parecchie miglia e mi si disse che d'inverno e con la neve alta era costretta a levarsi alle 3 di mattina, attraversar tutta la città, spingersi cinque miglia fuori di Porta Romana, per andare a guadagnare pochi paoli.
La zia Adelina fu l'ancora di salvezza di tutta la nostra povera famiglia, come il lettore sentirà, non v'era, e non vi fu, de' fratelli o de' nipoti, nessuno che non facesse appello a quel cuore di zucchero, che s'inteneriva di nulla, e che nascondeva il tesoro della sua bontà sotto un sembiante d'austerità e di fierezza che incuteva timore e ritegno.
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