La Casa era bella; ariosa, vasta; si componeva d'un numero infinito di camere al primo piano e di un simile superiore che dava sur una gran terrazza dove, una gabbia piena di cento canarini, e innumerevoli vasi di fiori, allietavano perennemente quel domicilio silenzioso monastico.
Mi fu assegnata una camera buja e silenziosa nel retro casa; aveva un finestrone alto alto che si teneva sempre ermeticamente chiuso, e io, che ero curioso la mia parte un giorno l'aprii e vidi che dava su una corte profonda, scura e puzzolente; il tanfo di cento umide cantinacce montava su per quel vôto che pareva un pozzo profondo; cento gattoni sparuti e affamati, ciechi e impiagati, e mi fissavano miagolando e mi fissavano con cento occhi paurosi sperando gettassi loro qualcosa da rodere; giù, nel profondo viscido suolo grommato d'una muffa puzzolente e attaccaticcia, si rincorrevano certi topi grossi come gatti, talpe sonnecchianti e lente lente che facevano schifo. Presto rinchiusi le gigantesche imposte e ne' miei lugubri sonni, quante volte! mi parve vedersi spalancare l'enorme finestra e arrampicarsi sul mio lettone scarafaggi e talpe, ragni pelosi dalle cento zampe, gattacci con occhi di bragia e bafoni setolosi che mi laceravano le guancie.
Per entrare in codesta stanza bisognava varcare un salone grandissimo le cui pareti erano tappezzate d'enormi librerie tutte di noce, chiuse con belle e pulitissime vetrine: era quella la biblioteca, ricchissima, dello zio: gelosissimo de' suoi libri, egli portava con sè le chiavi e n'era tanto geloso che non le concedeva neppure alla sua Fanny la quale, pure, era la gemma, la pupilla dei suoi occhi.
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Casa Fanny
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