Ero un signorino; ben vestito; col carrozzino a mia disposizione; tutte le domeniche mi regalava un cavurrino, facevo e disfacevo a modo mio; studiavo; quale altro giovinetto avrebbe potuto dirsi più felice di me?
Ma:
«Sua ventura ha ciascuno dal dì che nasce».
e la mia non durò mai troppo da farmi credere felice, non dirò per sempre, ma per, almeno, un certo numero d'anni.
Il resto della famiglia si componeva di due vecchie zitellone e pinzochere che bazzicavano spesso e volentieri per le innumerevoli chiese e chiesette di Lucca che sono più di cento; a volte le mattine d'inverno, alle quattro, con un freddo terribile, un sonno invincibile, «su su!» bisognava levarsi e accompagnarle alla messa a S. Martino, o a Santa Maria Bianca.
Io credo di non aver mai provato un martirio più orribile di quello di dovermi levare, caldo caldo, dalla mia cuccia per attraversare di notte la città coperta dalla neve e buja buja; e andarmi a gettar su una dura panca in una chiesona quasi vôta ed echeggiante sinistramente di colpi di tosse dei pochissimi fedeli e della voce grossa e rauca di un prete assonolito, accompagnato dalla vociolina fessa e pisigna d'un cherichetto assonolito anche lui e impaziente.
Alla zia Vira, era riserbata la funzione di prete: alla novena era lei che snocciolava tutto il rosario e tutti gli altri dietro a rispondere; lei agli oremus, ai deprofundis, e alle altre giaculatorie di rito; poi quando tutta quella grazia di Dio era finita, s'alzava dura dura e seria seria, ci dava una grand'occhiataccia a tutti come a dire pentitevi canaglia, de' vostri peccatacci e.... andava a far la piscia.
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