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      Ma ritorno alla mia narrazione.
      Ma una ruggine segreta covava nel pietoso e flaccido coricino di quelle povere vecchie bigotte e baciapile e non poteva mancare che non scoppiasse una bufera sul mio povero capo sventato e fanciullesco; come dirò più innanzi.
      Intanto i miei studi, (cominciati subito appena addomesticato un poco nell'ambiente e alla bella parlata toscana), seguitavano con non troppo laudabile slancio da parte mia, ed ecco perchè.
      CAPITOLO IX.
     
     
     
      I Maestri.
     
      Pare incredibile, ma i maestri ho sempre avuto a noia per un motivo specifico: vale a dire perchè non erano maestri. A que' tempi - parlo di quasi settant'anni fa, - gl'insegnanti erano tutta gente privata più amica della ferula e del righetto che della santa missione alla quale s'erano dedicati: aprir cioè le dure cervici de' ragazzi e metter loro dentro quel po' di cognizioni che avevano malamente appreso da' preti e da' frati; un po' di latino, di greco, di lingua italiana, d'aritmetica e di calligrafia. I miei maestri i primi primi voglio dire, - erano tutti figli di contadinacci scesi in città, rozzi, zotici e ignoranti. Per loro gli alunni erano considerati come nemici che si vorrebbero domare a son di botte. O imparare o buscarne: e che si poteva imparare da certi bifolchi e villani ribaditi che di latino sapevano gli Oremus e di greco anche?
      Con loro dunque non appresi mai nient'altro che il pizzicore della sferza sulle palme delle mani.
      Furon preti - Dio li abbia in gloria! avean la chierica anche loro!
      Non dico che questi non m'insegnavano bene: i principi della grammatica latina e quella greca l'ebbi presto sulla punta delle dita: versi latini e greci piovevano come grandine: per ogni quisquilia, giù cento versi di Virgilio; cinquanta d'Orazio; e si capisce che, a forza di ponzar su' classica, qualcosa nel cervello, anche ad esser ciuchi, bisognava che ci restasse e infatti, qualcosa ci restò. Ma, numi del cielo, quanto patire in quelle notti gelate quando, mentre la famiglia se ne stava allegra al calduccio in galleria; io spasimavo dal freddo nello studio, con Tacito o Tito Livio sotto gli occhi e mi sentivo ballonzolare le budella nel corpo!


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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