Per dire il vero la pazienza non è stata mai la mia virtù predominante; alzarmi dal banco, afferrare il calamaio, buttarglielo sulla grinta di porco, fu un baleno: mi prese fra le braccia e giù botte lui, e calci io: un finimondo; e chi scappa di quì, chi di là; io mi svincolo, mi urla e mi batte sulla testa, negli occhi dove gli capitava.... scappo e mi rifugio tutto lacrimoso e imbestialito dal nonno che aveva lo studio sui Fossi Coperti in quel gran palazzone che ancora si vede, dal quale, svoltando, si va alla Porta del Vapore.
Mi tolse da quel pretaccio il mio buon nonno, e allora in consiglio di famiglia fu deciso che seguitassi a studiare nel corso tecnico: ed eccomi studente a San Frediano per due anni; chè il primo lo saltai.
V'apparsi - a dir vero - stracco e sfiduciato: avevo avuto delle disillusioni; non si studia bene che sotto buoni maestri; avete voglia, voi, di mettere i figliuoli a scuola; se i maestri non sono buoni, di buon temperamento, graziosi, affettuosi e sopratutto bravi, è inutile, i giovani scalderanno le panche, ma non riusciranno a nulla. E questo lo posso dire con voce in capitolo perchè ne ho fatto l'esperienza e da me so quel che mi dico.
Vorrei saper perchè (ma una ragione ci dev'esser di certo) ho avuto sempre poca simpatia co' professori; è una classe di persone, che, come i preti, ha addosso un certo non so che, da farla riconoscer da lontano: il prete, puzza, il professore, pesa. Riconosco il professore alla camminata, al modo di tenere il bastone, guardare, parlare, interrogare.
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