Il professore interroga alzando la testa e inclinandola verso una spalla, e guardandoti di sottocchi, come per dire: - «ciuco, io sono un gran cervellone, pieno zeppo di scibile; guarda con chi parli, eu, eu.» Durante tutta la vita (e tutte le volte che ho dovuto trattar con gente diplomata) me ne sono sbrigato alla lesta, perchè sentivo proprio il tanfo della pedanteria che mi faceva arricciare il naso.
I miei antichi professori erano tutti cattedrattici - Il Marchetti, di letteratura italiana, con un occhio affrittellato faceva un bellissimo vedere; me lo squadrava in faccia con un tono sì grave e ponderato che quando mi toccava a recitare a menteQui terrò il corso cui tua man m'ha spinto
Onnipotente Iddio, tu vuoi ch'io ponessi?
Io mi starò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
i compagni mi zirlavano da lontano e il riso mi scappava irresistibilmente.
Il Pollera, un prete vestito da laico, entrava in scuola col collo torto e guardandomi con occhio porcino: quei cinque, quei quattro, ballonzolano anche ora, dinanzi alla mia memoria stupefatta. E con che prosopopea diceva, ammiccando a me quando nella dimostrazione del Teorema di Pitagora che la somma dei quadrati fatti sui due cateti è uguale al quadrato fatto sull'ipotenusa - «Questo, diceva - è il punto culminante di tutta la geometria piana e solida; questa figura si chiama: «il ponte dell'asino» (e giù un sbirciata a collo torto a me, con un ghignolino a fior di labbra che faceva scoppiar tutti dal ridere). «Che ti possa venir la rogna: (dicevo io tra me e me) pezzo d'asino imbastardito tra le sacrestie!
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