Il povero Carlo, bianco come un cencio lavato non sapeva dove mettere il capo: per fortuna che lui, pauroso di suo, se n'era stato a vedere in un angolo lontano.
Sento un trambusto di passi: sono le vecchie che vengono impaurite a vedere cosa fa il mago (così mi chiamavano per ridere). Mi vidi scoperto! Ora, - pensai - addio tutti gli altarini; ora si scoprono i furti de' libri; la libreriola, le macchine, pover a me, sto fresco!
- «Scappa, scappa Carlo» - lo ficco fuori e corro via anch'io chiudendo col meccanismo segreto.
Raccontai, inventando una frottola e un po' con le buone, un pò raccomandandomi placai l'ira funesta di quella megera di Vira; che le mani le menava come mio padre e facevano di molto male perchè erano più noccolute e più secche.
Mi feci togliere gli spilli di vetro che mi laceravano il viso; mi compatirono; mi gridarono, ma per allora, tutto finì lì.
Però non doveva durare a lungo; e codesto fatterello mise (come si poteva immaginare) in uzzolo quelle care donne di vedere un pò nè segreti miei così gelosamente e sospettosamente difesi.
Una bella (o brutta) mattina, nàzzica, nàzzica attorno a quel povero usciolo che l'ebbero squadernato e tutt'e quattro penetrarono (come le Streghe di Machbetto) nel covo degl'incantesimi e videro... Numi del cielo! tutti e quattro coll'indice teso verso la libreria, le pile, le storte, le bottiglia d'acido solforico e nitrido, le terre e le polveri....: mandano a chiamare il nonno e questi arriva trafelato....
Cacciò una matta risata; parlò, disse che io ero una birba, non priva di merito però; che bisognava perdonarmi e centomila altre cose che il lettore discreto può immaginare: tornato senza nemmeno cavarmi la berretta da scuola fui chiamato al redde rationem; non sto a dire come mi tremavano le gambe.
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