Un giorno non vedendola venire a farmi le feste secondo il solito; mi misi a cercarla per la casa; metto sottosopra ogni cosa, e finalmente la trovo in terra, sotto la gabbia, col capino sfracellato.
Cose da ragazzi, lo so: ma che pianti, che disperazione! Le più maliziose accuse furono per le vecchie: ma il giorno dopo, si trovò un canarino spennacchiato e mezzo roso, ai piedi della gabbia. Feci la posta e vidi un famoso gattone nero nero, con due grosse lanterne gialle in fronte che montava pianino pianino di una vite, la quale, nientemeno, saliva dalla cantina fino al 5° piano. Veniva, l'infame, a mangiare i pollicini saporiti della mia gabbia.
Scacciato, tutti i giorni ritornava: allora risolsi d'assassinarlo; Carlo m'insegnò a fare un nodo scorsoio, mi disse di tener le finestre chiuse e lasciar che il gatto entrasse da un abbaino di sul tetto, munito di un pertugio grande appena come la testa di quella bestiaccia. Venne l'amico; entrò, incappò nel laccio, a quel rumore, volai io, e lo trovai che pareva un diavolo d'inferno, balzando di qua e di là con un furore spaventoso; non poteva strozzarsi da sè perchè per disgrazia s'era ficcata una zampina fra la cordicella e il collo. E allora finiamolo a legnate pensai: - agguanto un randello, e giù botte da orbi; ma era duro a morire; si divincolava, mi saltava addosso, agli occhi; era furente: mi ricordai che i gatti bisogna finirli picchiandoli sul naso, e dopo tre o quattro manrovesci, lo vidi finalmente abbandonarsi e morire.
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Carlo
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