Escivo di teatro col capo in cembali, e non facevo che sonetti alla bella fiorentina.
Passņ presto codesta sbornia insipida, ed ecco come: una sera, fra un atto e l'altro, mio cugino Ettore mi volle portar con sč fra le quinte per veder da vicino la bella Garibalda. Ci avviamo verso certe gallerie delle quali altro non rammento che un forte odor di polvere, come se ci avessero sbattuto tutti i tappetti delle case di Lucca: Dio del cielo! eccoci vicini agli scenari; mi batteva il cuore lą dietro, fra un crocicchio di giovanottoni, di tenentini, di spasimanti, stava la bella sirena: sento le gambe che mi fanno cecco; alzo gli occhi rincitrulliti... Che delusione! Ma non per colpa sua, poverina; aveva le guance e le labbra rosse come una foglia di papavero, le lustrava la fronte come l'alabastro; gli occhi, ch'eran tanto belli, erano pieni di scintille, brillavano come lustrini.... i capelli finti, il fianco rigonfio di cenci o di stoppa; perfino gli scarpini mi parevano di carta... Mi sentii cascar il pan di mano, rinsavii a bono, nč pił vennero, di notte, a tormentarmi visioni di rapimenti da me congiurati per strapparla a quell'inferno (come a me pareva) e al tiranno del padre nobile!
CAPITOLO XIII.
Intanto cominciavo a formar il caratterino; voglio dire che la vita libera fuori e poco curata in casa, m'andava maturando il corpo e lo spirito. Il primo non era molto robusto per dire il vero, anzi delicatissimo e bisognoso di molte cure; il secondo s'era liberato, a poco a poco, della soggezione pretina e di quella delle persone di casa; la lettura d'una quantitą grandissima d'opere letterarie d'ogni genere ma pił serie che amene, aveva finito d'irrobustirmi l'intelligenza e gli amici del nonno mi stuzzicavano e vellicavano continuamente per farmi parlare; e io parlavo cose strane per la mia etą e qualcuno mi profetizzava.
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