... che sarei andato in galera!
Riottoso di mio, bastava che qualcuno mi incitasse un po' perchè facessi per l'appunto il contrario di quello che si voleva, ma che non volevo fare.
Un giorno, mentre ci bisticciavamo col cugino Carlo, e si stava quasi per venire a' ferri per non so che quisquilia; aizzato da lui perchè diceva che non c’era nessuno che potesse montare e scendere dalla vite che penzolava per un venti metri dal quinto piano (la vite era fissata tutto lungo il casamento e saliva di giù dalla cantina dalla parte interna dove c'era una gran corte, dei Mencacci; senza dir nè ai nè bai, mi lancio sul davanzale del finestrone; m'agguanto al tralcio, che era grosso e forte; e mi lascio scivolar giù dal quarto piano. Costì avvenne che le figliole del Mencacci, che lavoravano tutt'attorno alla mamma, al secondo piano, mi videro scender giù come un gatto, e cominciarono a gridare spaventate. S'affacciano le zie, la nonna, uno schiamazzo....
Tornato in casa (mi toccò a montare dalle scale, ma avevo detto di risalire dalla vite); trovai quelle povere donne più morte che vive. Quì si venne a gravi contestazioni: gridarono Carlo che m'aveva lasciato fare e non m'aveva impedito: lui - bisognava compatirlo! - tirò la colpa tutt'addosso a me.... e io cominciai a vedere e a capire che si bucinava qualcosa per rimandarmi dal babbo. Ma c'era la nonna sempre e la nonna non era una rocca tanto facile a espugnarsi nè vincersi.
Credo che volessero farmi un brutto scherzo ma trascorsi alcuni giorni, e passata la tempesta, non si raccontò più quel fatto che come una bravata giovanile, d'un ragazzo tredicenne.
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Carlo Mencacci Mencacci Carlo
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