Ora che tant'acqua è passata dal ponte, la voglio dire schietta: tra Carlo e me non c'era stata mai un'affezione veramente solida sebbene ruggine vera e propria, no; egli - al mio arrivo a Lucca - aveva dovuto lasciarmi il posto e tornar con suo padre, il Sor Claudio, avvocato e fotografo, a tempo perso, forse più adatto a fissar imagini sulle lastre di nitrato d'argento che a vincer cause. E Carlo se l'era legata al dito: lo giudicheremo un po' più avanti, quando ne faremo di lui una conoscenza più minuta.
Che tra noi ragazzi vi fosse antagonismo, può darsi; ma io - lo confesso - l'amavo veramente come fratello e con sincero dolore ne ho pianto poi la perdita accaduta un paio d'anni fa a Milano.
Certo lui, che era maggiore di me, poteva e doveva impedire che mi facessi del male. Un gancio, un chiodo, roso dal tempo o scalcinato: la vite stessa vecchissima e in alcuni punti sottile e tisica come un fuscellino; una mano mia ferita; insomma cent'altri casi potevano farmi ruzzolare giù e precipitar nel vuoto.
Le zie erano nervose più di prima; poco importava a loro se studiava e mi facevo onore; le donne, si sa, dimostrano poco interesse a tutto quello che non sia cosa del loro sesso: qualche volta rispondevo loro;.... quel sentirmi ogni poco rifischiare la solita antifona: - « Giulio! cosa ti credi? tu non sei nulla, qui; sei un orfano, un raccattaticcio ricoverato per misericordia; tuo padre t'ha mandato via per bighellone; di noi non sei nulla; ecc, ecc.
Tutto questo aveva cominciato a entrarmi ben bene in cuore, e capivo benissimo la mia infelice posizione: tantochè, zitto, zitto, risolsi un giorno di scappar di casa e fuggirmene via da Lucca.
| |
Carlo Lucca Sor Claudio Carlo Milano Lucca
|