Con Carlo strologavamo ogni poco del come arrivare a metter le mani su quelle robe che ci dicevano co' loro simpatici odorini «mangiami mangiami»: fare una chiave falsa non si poteva; m'ingegnavo, io, a rubichiare a manate quando, di su, durante il desinare, per non iscomadarsi da sè la vecchia mi mandava a prendere o vino o frutta o dolci; ma c'era poco da stare allegri, perchè a volte, mi mandavano addietro Natalina (che era la serva).
Il diavolo però me ne insegnò una che la migliore non avrebbe immaginato lo stesso Perez Zambullo.
Accanto alla famosa dispensa c'era la camera delle citte così si chiamavano fra loro le zie con voce senese (cittellone dovrei dire: avevano 60 anni ognuna!); e il letto grande in cui dormivano insieme, era appoggiato al muro divisorio delle due camere; sopra il letto, che quasi nascosto dai parati che l'avvolgevano, v'era una finestrina ovale, una specie d'occhio di bove, con un vetro per tenerla serrata; mi balenò in mente che sarebbe stato facilissimo arrampicarsi dalle colonne di ferro del letto, agguantare la finestrina e lasciarsi cascare giù dall'altra parte. Proprio il diavolo, m'aiutava! nella dispensa c'era una scaletta a pioli che si teneva apposta per prender l'uva della vite, mi fu facile, una sera, spostarla dall'angolo dove si teneva, e appoggiarla sotto l'occhio di bove: fu per me un gioco mettere a effetto il sospirato armeggio, e così, per più di un mese, ventre mio fatti capanna: l'amico Carlino se ne ritornava a casa carico d'ogni ben di Dio, ma i sacchi si votavano!
| |
Carlo Natalina Perez Zambullo Carlino Dio
|