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      Questo tatto accrebbe, naturalmente, lo scontento contro di me: capivo anch'io che ero un po' vivarello; ma l'età ragionava poco, e sono certo che il nonno stesso deve aver fatto le matte risate di quelle marachelle.
      Un altro giorno (ma questo senza veruna colpa da parte mia) fu quasi lì lì per rovinarmi affatto.
      C'era, in una specie di stanzaccia in soffitta a triangolo col tetto che pareva si chinasse fino all'impiantito; un gran mucchio di cocci, anticaglie e robe usate; una mattina mentre salivo su tutt'allegro; trovo la zia Vira sul pianerottolo, con un gran quadro vecchio e tignoso in mano; mi ferma mi chiappa per un orecchio e mi fa tutta stizzita: - «Ce l'hai portato tu questo quadro in soffitta?» - rispondo che io non l'avevo veduto nemmeno; lei insiste, io nego; mi faceva male stringendomi e strizzandomi quel povero orecchio e gridandomi sempre «Confessa confessa...» ma io duro a negare; e così durammo un pezzo, lei a tirare e io a dir di no. Acceccata dalla rabbia, cominciò a battermi il quadro sul capo e tante me ne dette che sanguinavo in varie parti: pure ebbi la costanza e la caparbietà di negar sempre e sempre con più forza; più lei mi bastonava, più io gridavo ch'era un'infame un'aguzzina, una beghina cattiva e snaturata.
      Quando fu stanca, ben bene, mi lasciò: quella notte scappai di casa e me n'andai a Viareggio, in cerca della nave che avrebbe dovuto portarmi, glorioso e trionfante, agli Stati Uniti. Ma cammina cammina, invece del Brick Schooner, incappai in due carabinieri che senza tanti complimenti, prima mi dimandarono come mi chiamavo, poi mi portarono dal Comandante che mi fece accompagnare alla diligenza del Procaccia e rimenare a casa con due gendarmi, scornato e vilipeso.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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