CAPITOLO XIV.
Viareggio.
A questo punto, comincio un'epoca nuova della mia vita che si puō dire decise del mio futuro; ma prima d'entrare in merito, voglio filosofare un poco sui casi dell'uomo secondo il mio vecchio costume, lasciando un po' libera la penna a' voli della fantasia. Tanto, ormai, vi siete abituati al mio modo di fare, e queste digressioni non vi noieranno troppo; ma se per caso succedesse il contrario, saltate a pič pari il bozzo, come si dice a Lucca e voltate pagina.
La vita non č nč pių nč meno che una catena lunga lunga, e qualche volta corta; gli anelli di questa catena sono sė strettamente infilati l'uno dentro l'altro e saldati tanto tenacemente, che spezzandone o levandocene un altro tutto il resto si scompone e deforma. Destino, Fato, Libero Arbitrio, che so io? sono tutte bellissime espressioni comode, da metter fuori da' pigri o dagli inetti per giustificare le loro malefatte e gli errori che commisero; per me sono persuasissimo invece che nč il Destino, nč il Libero Arbitrio, hanno valore alcuno: il caso dunque, mi si domanderā, č quello che svolge e fissa gli avvenimenti futuri e le diverse manifestazioni degli uomini nella vita? Io non so se sarā, o non sarā il caso; dico soltanto che tutto quello che succede a un uomo, č strettamente legato agli avvenimenti che fortuitamente o per fatto apposta, si svolgono come gli anelli d'una catena senza fine: ho detto male, senza fine; perchč il primo e l'ultimo anello, pur troppo, hanno un motivo d'origine e di destino certissimi: la culla e la tomba.
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