. . . . . . . . . . . . .«Era quel dolceE inevocabil tempo, allor che s'apre
Al guardo giovanil questa infeliceScena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il coreDi vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s'accinge all'opraDi questa vita come a danza o gioco
Il misero mortale.»
Oh Luisa: io ti ricercai, e ti ho riveduta a me dinanzi, io ho stretto un'altra volta, dopo quarant'anni; la tua mano ormai fredda: ma tu non riconoscesti nel vecchio signore che te la porse e ti parlò, colui che ti aveva portata nel cuore come una fede, come una fiamma, come il canto di un poema sublime, attraverso le battaglie del mondo.
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Il mio ferito fu in punto di morte: tornato a casa, seppi con gran trepidazione, che il padre aveva parlato col nonno e con tutta la famiglia; era furioso, minacciava; lo compatirono e mi gridarono severamente; credeva proprio che m'avrebbero arrestato e fatto il processo come il genitore minacciava; dopo otto giorni di paure e di speranze, finalmente il giovine fu dichiarato fuori di pericolo.
Una sera si sente picchiare all'uscio e una signora che s'annunziò per zia, venne a dirci che il povero malato, voleva vedermi.
Oh Dio! mi sentii cadere una pietra nelle viscere; le gambe mi diventarono di cencio; tremai; ma chi avrebbe titubato? andai a testa bassa e gli occhi a terra.
Mi trovai spinto in una camera ove giaceva in letto il povero Pallino: era giallo cadaverico; la pelle piena di pitiggini e di macchie nere, pareva come una piaga putrefatta; volle stringermi la mano e io versai una sincera lagrima per lui, che innocentemente avevo colpito a morte.
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Luisa Dio Pallino
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