Agostino Bertani domandò al Prefetto l'autorizzazione al trasporto, e, ottenutone il decreto, la salma, dopo le solenni onoranze avute in Pisa il giorno 14, giungeva il 15 a Genova, 25 minuti dopo mezzogiorno.
CAPITOLO XVI.
Una domenica, terminato il desinare, sentii un gran sonno opprimermi le palpebre e mi gettai sur una specie di sofà, come per fare un pisolino. La dormitina fu lunga! Non mi destai che dopo 15 giorni, con la testa fasciata come il mio povero Pallino, e con 24 mignatte sotto il collo. Cos'era stato? ricordavo, in sogno, che Pietrino Malfatti e Cencio Arrighi, uno alle spalle, l'altro dai piedi, mi trascinassero su su per una scalettina stretta stretta, ripida ripida che non finiva mai: dicevo tra me e me, questa è la scala di Giacobbe, che avevo letto nel Giannetto! poi un affaccendio di donne e d'uomini; un portare aceto e catini e lumi, e Napoleone che mi metteva sul letto. C'era nella camera una statuina di gesso che rappresentava il famoso brigante corso «le braccie al sen conserte».
Insomma o fosse, (come dissero le vecchie di casa) che m'avessero fatto male certi confetti; o che mi si fosse fermato il sangue per l'impressione della malaugurata bocciatura; il fatto sta che fui colpito da una terribile congestione cerebrale, malattia identica a quella di cui morì la disgraziata sorella mia, Ada.
Devo dire il vero; in questa circostanza fui trattato come un figliolo anche da quelle vecchie che avevano avuto sempre un po' di risentimento col povero orfanello: anzi, mi raccontarono poi, quando entrai in convalescenza dopo un mese e più, che fui veramente salvato dal professor Fedeli, una celebrità a que' tempi, perchè la zia 'Vira, vistomi, peggiorare e farneticare come un matto, nel folto della notte, colta da spavento s'era data a correre come una matta in cerca della casa del dottore il quale abitava in piazza Paolina e con le lacrime agli occhi, l'aveva supplicato di venirmi a visitare.
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