E la Luisina?
La notte precedente alla nostra partenza fu per me d'indicibil dolore: era notte chiara e stellata, e una tepida, aura ottobrina faceva tremolare appena le foglie de' limoni del giardino; tutt'intorno regnava un silenzio solenne, non turbato neppure dal lontano gemito del mare; si sentiva nel profondo come un fruscio d'acqua mollemente agitata sulla riva; pochi lumi pallidi e incerti tremolavano sul mare come fuochi fatui che il vento spenge e riaccende capricciosamente: una di quelle notti tranquille e placide, come le sa dare la mia Toscana, nell'inesauribile ricchezza delle sue stagioni placide e maravigliose.
La Luisina, m'aveva detto, che perchè nessuno ci vedesse nella viuzza che s'apriva dietro la casa sua, a mezzanotte, avessi spinto l'usciolino del giardino e costì essa m'aspetterebbe: e così feci.
Con che battito di cuore, con quanta trepidazione, m'avvicinai, nell'oscurità alla porticciola, che trovai semiaperta: Luisa m'aspettava.
Mi prese la mano e silenziosamente, come due ombre, entrammo nel suo giardino, ben lontano dalle camere ove dormiva la signora Paolina. Ci sedemmo a lungo sur una grossa pietra: e quella fu l'ultima nostra conversazione.
La vezzosa giovinetta giurò fedeltà eterna; eterna la giurai anch'io, e ci scambiammo i pegni della nostra eterna fedeltà; essa mi dette (ridi lettore?) un bottone che s'era strappato della sua camicetta scozzese; io le detti le poesie del Leopardi, con una dedica tutta fuoco che terminava con questi versi del Consalvo:
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