Ricordavo che in soffitta c'erano certe paja di stivaloni da montagna, di mio padre; ma provati me li ero trovati troppo grandi per il mio piccolo piede; presi allora delle calze di lana e tante me ne misi da ingrossare il piede, da poter stare attillato nell'enorme stivalone che m'arrivava di molto fin sopra i ginocchi. Tutto contento esco di casa in cerca di gazzarra: non doveva fare una bella figura, (penso ora), con un pajo di stivali da moschettiere sguazzando sulla folta e addensata neve... ma i giovani cosa non farebbero, pur di cavarsi un capriccio?
Stetti fuori tutto il giorno; ma al rientrare a casa, al presentarmi alla porta la zia 'Vira mi venne incontro investendomi con terribili minaccie:
«Quante calze hai preso dal cassettone? - grida con quella sua vociaccia sgarbata.
Cinque - rispondo:
Ecco, ecco l'infame, causa della malattia della povera Carolina; ingrato discolo, scampa forche: sarai sempre così, e morirai in galera!
Lasciai che si sfogasse; mi tolsi i belli stivaloni; e mogio mogio mi presentai alla nonna.... ma questa era già peggiorata di tanto, da entrar poco dopo in agonia: mi fu riferito poi che le ultime parole furon queste: «Non vedo l'ora d'alzarmi per dar tanti cazzotti a Giulio e calci alla canina» - (Era questa una bestiaccia che il nonno aveva portato a casa in quei giorni e che si chiamava: la marchesina).
- Giuba - Giuba..... furono le ultime parole; forse mi chiamava per nome l'ultimo addio; forse mi minacciava..... Fu detto che nell'ultimo istante, in un rapido baleno di ritorno a sè stessa, chiamasse il nonno e si facesse promettere che non m'avrebbe abbandonato mai.
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Vira Carolina Giulio
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