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      (Era costui un pretaccio grosso e sbracalato che aveva vissuto più di vent'anni missionario in Etiopia e ora, pensionato, se la sbafava a ufo alle spalle del nonno, che tutte le domeniche lo faceva venire a dir la messa nella Cappellina. E io, per la sua asinaggine, gli avevo messo nome Prete pappaciucci, nomignolo che aveva avuto fortuna e col quale, ormai, tutti noi lo chiamavamo così).
      - «Scommettiamo di sì - rispondo io - ma voglio cinque lire, se no, no».
      - Il nonno acconsente, le zie sbraitano, che è peccato mortale; che non va fatto ecc., le ragazze ridono e mi mettono sul punto; Carlo mi sbeffeggia e mi incita; prendo la chiave e m'avvio - Prima d'escir di casa però, vado in cucina e mi armo - non si sa mai - d'un coltellaccio, dicendo a. Carlo - Mascherina, ti conosco, stai attento perchè se mi fai qualche scherzo, ti tiro: paura non ho, e le cinque lire sono già mie.»
      Bisognava attraversare un cinquanta metri dalla villa e andare alla Chiesuola misera e povera come sono tutte le Cappelle di campagna.
      Era una notte buia buia; sibilava il libeccio tra rami degli alberi e cavava certe note lugubri come voci di condannati; non ci si vedeva a un palmo dal naso; pareva che si fossero date ritrovo costì tutte l'ombre de' trapassati e avessero preso stanza su' rami degli alberi e ne' rigonfi delle siepi - Mi pareva di vedere (com'è facile a un cervello impressionabile cader nelle allucinazioni) come tanti mostri rimpiattati con certi testoni mostruosi e deformi che mi minacciassero e camminando e avvicinandomi a quegli sgorbi, mi sembrava vederli gonfiare o sgonfiare e sparire come sacchi pieni di cenci: sono terribili gli oggetti della natura veduti di notte! le montagne, le case, le siepi, i monumenti paiono animali giganteschi, o ombre di morti che ti vengono a minacciare e a far paura.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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