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      Ritornammo finalmente a Lucca, e siccome io avevo terminato gli studi, e presa la licenza; pensavo fra me e me come sarebbe andata a finire se, cioè, li avrei proseguiti in un istituto a Firenze o a Milano. Nessuno di casa mi diceva una mezza parola delle intenzioni che aveva il nonno: sentivo che si lamentavano del contegno di mio padre, il quale, invece di dar denaro per me e ripagare in certo qual modo tutto il tempo che ero stato dalla nonna, non soltanto non aveva dato mai un centesimo ma ne aveva portato via anche nell'ultima visita a quell'anima generosa di Policarpo.
      Diventavo rosso dalla vergogna, a quei discorsi, e a quelle offese che, naturalmente, le donne lanciavano dietro le spalle di mio padre: mi pareva che fossero dirette a me, ma riconoscevo che avevano ragione, e stavo zitto e mortificato.
      Fu in codest'epoca (ma eravamo ancora in campagna) che Carlo ed Elena sua moglie portarono il loro bimbo di poco più d'un anno:
      Era codesto un bambino dispettoso e piagnucolone, che ne faceva d'ogni colori, e perchè era di Carlo gliele davano tutte vinte.
      Era l'idolo di tutte le vecchie e a me toccava farlo divertire, tenerlo allegro, portarlo a girare; ma per essere io così studioso e amante della solitudine e di passare il mio tempo non a fare il bambinajo, ma l'uomo serio in mezzo ai miei amici di soffitta, i libri; ne avevo veramente proprio fin su’ capelli. Se ne accorgevano le vecchie, sbuffavano, mi dicevano che ero un mangiapane a ufo, un poco di buono, insomma non vedevo l'ora che si risolvesse il problema del mio avvenire.


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La vita di Giulio Pane
di Giulio Tanini
Tipogr. Waser Genova
1922 pagine 497

   





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