Così, iniziai i primi miei sentimenti nel maremagnum di quella città.
Fui assegnato all'Ufficio Spese: n'era Capo Ufficio un certo Luigi Foli, romano; monco della mano sinistra, era uomo di poche parole e di molti fatti (come si vedrà) e mi dissero che aveva perduto il braccio nel '49 alla difesa di Roma nel battaglione Pietramellara e sotto la gran Repubblica di Mazzini e di Garibaldi a me, fresco di quei fatti per la lettura dell'Assedio di Roma del Guerrazzi, il Foli mi parve subito un Dio; più lo guardavo con quel suo moncherino, più m'entusiasmavo e l'ammiravo: - Vedete dicevo tra me e me - che glorioso rappresentante d'una razza che sparisce; ecco un uomo che ha fatto al mondo; che può dir di essere un eroe in carne ed ossa e può guardar noi di sotto in su e mandarci a cuccia; pensare che è stato con Mazzini, con Garibaldi, con Filopanti; che ha combattuto da bravo contro i Francesi e i Borbonici; che ha sparso il suo sangue per la patria... L'avrei adorato come un santo...
Un giorno, il buon martire della libertà di Roma e del Libero Pensiero, m'ordinò d'andare a prendere, non ricordo da chi, il «Libro de' Conti»: mi precipito dalle scale; picchio col capo nello stomaco d'un cavaliere che se ne veniva su buzzo buzzo sbuffando dall'asma; pesto un callo a un capo divisione; inciampo in una sedia, do' contro un portiere, vo dinanzi al Capo-Ragioniere Conti, e gli dico senza fiato in corpo:
«Il Cav. Foli la prega di mandargli subito il.... Libro della Spesa».
- Bimbo mio, mi risponde ridendo a crepapelle, il brav'uomo - il Libro delle Spese bisogna che lo vada a chiedere alla mi' serva.
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