Povero Bignami - so che hai finito un pajo d'anni fa povero e solo in una fredda soffitta della tua Milano; eri un buon figliuolo, in fin dei conti; e devo a te se mi svincolai da quell'ambiente di sacrestia e di pedanti che non era fatto per me; la vita d'ufficio, tra' fogli, i registri, le contabilità non era fatta propria per una testina come la mia; perchè la mia animuccia voleva spaziare nella libera esistenza ove non si conoscono catene o almeno sono mascherate dalle foglie di rosa: se le spine abbondano, le non si scorgono di prim'acchito; la vita calma, tranquilla, silenziosa, posata, a quel modo, era impossibile pe 'l mio carattere; sarebbe stata adattatissima per un Taddeo equilibrato, paziente, remissivo: a me era impossibile: come avrebbe potuto esser piacevole, a me che sentivo un aquilotto nel cuore, e di gran sogni nel cervello?
Il Bignami me lo diceva sempre:
- Ragazzo mio, questo non è posto per te; qui tu non farai mai nulla; a te ci vuole un lavoro più libero, il moto perpetuo.
Un giorno, mentre leggicchiavo, di nascosto, sulla fisica del Cantoni, (che avevo ficcata nel cassetto del tavolino e che occhieggiavo tenendolo semi-aperto per esser pronto a richiuderlo appena comparisse qualcuno de' tanti cerberi che mi circondavano); non feci a tempo all'operazione e il Bignami mi sorprese col libro tra le mani.
«Eureka - Eureka», esclamò battendomi una mano sulla spalla: - Abbiamo trovato, ragazzo - se ti piace la Fisica, hai in tuo potere un mondo nuovo: ti piace la Fisica?
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