Una mattina andammo su, al ballatojo: bisognava salire un cinquecento scalini, e s'arriva all'ultimo che uno deve proprio raccomandarsi a Dio per prender fiato: ma quando s'è lassù... che vista, che spettacolo!
La candida città, con tutti i suoi pinnacoli rossi, e l'infinito numero di torri e torricelle; quella snellissima di Palazzo Vecchio; il Dômo maestoso e imponente, le montagne di Pistoja, di Fiesole; (basterebbero queste, a render famosa e gelosa una città che è delle sue antiche glorie maestra; tantochè potrebbe dire: Eppure sono io la tua mamma; il Monte alle Croci, il Vallon de' Colli che è una delle più splendide passeggiate d'Italia, ancora non abbellito con la copia del David in bronzo; la Torre del Gallo, dalla quale Galileo fece molte delle sue principali scoperte astronomiche e che ancora conserva gl'istrumenti e i mobili del gran filosofo pisano; tutti codesti monumenti della grandezza di quel popolo straordinario, mi facevano un'impressione tanto forte e poetica che non ero contento finchè non avevo comprato libri e saputo i particolari della Storia di Firenze, della quale divenni appassionatissimo.
Dino Compagni, i Villani, il Varchi, il Guicciardini, il Nardi, l'Ammirato, il Machiavelli, il Vasari, mi divennero familiari, e mi ricordo che mi piaceva anche la Storia di Firenze del Capponi un po' severa e pesante e quella anedottica dello scolopio Piccioli scritta in uno stile che voleva essere trecentista, che tiravo giù d'un fiato, in grazia delle notizie anedottiche di cui era rimpinzita.
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